mercoledì 18 gennaio 2017

Commento su:A Modest Proposal for Resolving the Eurozone Crisis-Yanis Varoufakis, Stuart Holland, and James K. Galbraith

Riparliamo di euro, tema che riprendiamo dopo un pò di tempo. La situazione non è cambiata e il mio pensiero riamane lo stesso, fondare l’Europa sull’euro è stato un errore, ultimo a confermarlo è stato A. Sen ieri a otto e mezzo su La7 (vedere la faccia di Giannino è stato impagabile per il resto c’è Mastercard).
Cominciano ad essere sempre meno coloro che pensano che l’euro si salvi, comunque oggi parliamo di una delle proposte più articolate per salvarlo fatta da Y. Varufakis ed altri. La proposta si  compone di 4 parti perché quattro sono i problemi per gli autori dell’area euro, li metterò in ordine diverso dalla proposta, ordine a mio parere per importanza e  fattibilità.
Il primo problema è la recessione per cui serve un piano di investimenti per rilanciare l’economia, investimenti che invece sono in calo dappertutto. Qui le istituzioni ci sono è sono rispettivamente la Banca Europea per gli investimenti e il Fondo Europeo per gli Investimenti.
La Banca Europea per gli investimenti finanzierebbe con emissioni di bond che avrebbero tassi più bassi di quanto non potrebbero se fossero emessi dalle nazioni stesse, tra l’altro la BCE potrebbe aiutare a mantenerli bassi con acquisti sul mercato secondario. I flussi di guadagni provenienti dagli investimenti ripagherebbero poi i bond emessi, in ogni caso queste spese non  graverebbero sui bilanci degli stati nazionali. Quanto dovrebbe essere investito non lo dicono, considerando che il piano Junker prevedeva 600 miliardi di cui solamente 20 pubblici, per essere veramente efficace stiamo parlando di un piano di investimenti pubblici di qualche centinaio di miliardi almeno inizialmente.
Questa è la misura secondo il mio parere più urgente e anche quella che potrebbe essere più facilmente applicata  a livello europeo, su questo si dovrebbero battere i nostri governanti, e non solo,  invece di fare “la moina” con la Commissione Europea.
La seconda proposta è quella relativa al sistema bancario, tema caldo in Italia ma anche in tuta Europa.
La proposta è che le banche che necessitano di essere ricapitalizzate invece di farlo per il tramite dei governi nazionali e poi da questi tramite ESM (Meccansimo Europeo di Stabilità) vengano ricapitalizzate dall’ESM stesso acquisendo quindi le azioni delle banche direttamente, scegliendo il nuovo board della banca. Su questa proposta gli autori non si dilungano, quindi quali sarebbero  i vantaggi non sono esplicitati, al contrario non credo che tale proposta venga ben accolta dai governi nazionali che perderebbero un ulteriore elemento di controllo del sistema bancario.
Terza proposta è quella di rifinanziare  il debito degli stati che non supera il limite del 60%del PIL. Questo debito in ECB bond potrebbe essere convertito ad un tasso di interesse minore ma comunque di competenza degli stati stessi. E’ chiaro lo scopo della proposta ridurre il peso del debito e dei suoi interessi senza dover ricorrere al meccanismo OMT, che significa poi sottostare ai diktat della troika che hanno significato di fatto austerità e recessione. Che dire la proposta non è totalmente nuova ed è sicuramente uno strumento utile per ridurre il peso del debito ma credo proprio che su questa proposta la Germania e altri non ne vogliono sentire parlare, per cui anche addolcendo un poco la pillola non credo che nessuno la voglia prendere in considerazione.
Infine l’ultima, in cui raccomandano che l’Europa adotti immediatamente un programma di solidarietà per l’emergenza sociale (ESSP) che garantisca l’accesso alla nutrizione e ai beni di prima necessità per tutti gli europei, e che si traduca in un Programma Europeo di Buoni Alimentari modellato sull’equivalente degli USA. 
Questi programmi dovranno essere finanziati dalla Commissione Europea utilizzando gli interessi accumulati mediante ad esempio il sistema europeo delle banche centrali, dal bilancio del sistema TARGET2, dai profitti realizzati attraverso il mercato delle obbligazioni nazionali o altro.
Da un punto di vista umanitario non c’è dubbio che sarebbe una misura necessaria, ma visto che coloro che ne sarebbero i beneficiari non contano niente a livello politico europeo proprio nessuno ne avrà a cuore le sorti.

Insomma nel complesso un buon esercizio teorico ben fatto e che contiene un certo sforzo di realismo che, comunque date le attuali condizioni politiche dell’area euro, rimane in pratica irrealizzabile, l’unico punto su cui si potrebbe aver un minimo di speranza è quello sugli investimenti, ma anche questo richiederebbe dei politici europei avveduti e con uno sguardo aldilà del mero tornaconto elettorale di breve periodo.

venerdì 13 gennaio 2017

Weitzman-L’economia della partecipazione: sconfiggere la stagflazione

Il libro che recensiamo oggi non è recentissimo, è uscito nel 1985 e non è facilmente reperibile nuovo, risulta comunque interessante perché mi consente di parlare di un tema sempre attuale ovvero cercare di trovare forme di retribuzione salariale che siano partecipative ovvero legate alle performance della impresa.
Nella prima parte l’autore riesce in maniera semplice e brillante a delineare i fondamenti della microeconomia e quindi del funzionamento della impresa; la situazione normale dell'economia è comunque caratterizzata da eccedenza di offerta e le imprese tendono a reagire, in presenza di incrementi di costi, aumentando i prezzi e riducendo la produzione. D'altra parte il modello salariale prevalente è sostanzialmente rigido, per cui lo scenario macroeconomico è che l'impresa a fronte di problemi tende principalmente a ridurre la produzione e meno i prezzi, con  un salario rigido si ha quindi  aumento di disoccupazione (ovvero salario rigido e occupazione variabile). Inoltre, la soluzione keynesiana di una aumento della domanda per risolvere i problemi di disoccupazione comporta il rischio della inflazione che se unita alla stagnazione diventa stagflazione (tipico problema del periodo in cui esce il libro). Per uscire da questa impasse la soluzione, per Weitzman, che consente di mantenere maggiormente stabile l'occupazione senza incorrere nel rischio di inflazione è quella di un salario che sia in parte legato alle performance dell'impresa (ad es. ricavi). I vantaggi teorici di un sistema del genere sono vari, uno è che l'impresa tenderebbe ad assumere di più perché il costo marginale del nuovo assunto risulterebbe più basso, quindi in definitiva il sistema crea maggiore domanda e soprattutto in un momento di crisi tende a licenziare meno in quanto i salari si adeguerebbero automaticamente ad un calo dei ricavi, oltre al fatto che tendenzialmente i sistemi a partecipazione tendono a coinvolgere maggiormente i lavoratori e quindi ad aumentare la produttività. Il problema, come evidenzia l'autore,  è che tali sistemi non risultano attrattivi per i lavoratori già impiegati, perché il sistema comparta una potenziale riduzione del salario (rischio), tipico problema di una vantaggio pubblico (maggiore occupazione) in contrasto con il vantaggio individuale. La sua proposta è pertanto di favorire l'adozione di tali contratti con delle agevolazioni fiscali per i lavoratori per la parte variabile che quindi dovrebbe spingerli a trovare convenienza in questi contratti. Tutto apparentemente molto chiaro e sembrerebbe l'uovo di colombo. In realtà questo libro mi ha spinto a documentarmi su questo argomento e il conseguente dibattito tra gli economisti. In particolare un altra proposta interessante avanzata sul tema è quella di Meade in cui, ad una quota di  salario fisso, ai lavoratori vengono aggiunte della azioni (azioni di lavoro non negoziabili sul mercato);  non mi dilungo oltre segnalo invece, per chi vuole approfondire, un analisi su questi sistemi di Giulio Zanella dell'Università di Siena: Partecipazione con avversione al rischio e coordination failures: riconsiderazione e tentativo di sintesi dei modelli di Weitzman e Meade, che trovate su internet.

Credo che comunque in Italia su questi temi  e sulla partecipazione alla impresa il nostro sindacato sia rimasto per troppo tempo arroccato su posizioni troppo arretrate rispetto ad altri paesi europei, ed è anche uno dei motivi per cui la nostra produttività  è cresciuta poco o meno di quanto avrebbe potuto.