giovedì 21 maggio 2015

Dani Rodrik - La globalizzazione intelligente - Laterza

Il libro che presentiamo oggi è molto interessante e ben scritto da Dani Rodrik, di nascita turco ma professore di Economia Politica Internazionale alla John F. Kennedy School of Government presso l'Università Harvard negli Stati Uniti. Il titolo in inglese, che a mio parere è più azzeccato, The globalization paradox, spiega meglio il tema del libro, ovvero del paradosso o come vedremo più avanti, quello che l’autore definisce il trilemma della globalizzazione.
Nella prima parte c’è una lunga e molto accurata ricostruzione storica, si parte dalla prima globalizzazione, quella che iniziata nell’800, per effetto combinato delle innovazioni tecnologiche e del gold standard ma, sopratutto, in virtù delle politiche «imperialistiche» delle potenze occidentali, che  finisce con la prima guerra mondiale, a cui segue un periodo di rinascita del protezionismo anche a causa  della Grande Depressione.

Il secondo dopo guerra è caratterizzato dagli accordi di Bretton Woods che, con gli accordi commerciali del GATT,  permettono comunque un aumento della globalizzazione, ma consentono agli Stati nazionali quei giusti margini di manovra per portare avanti  anche politiche sociali e comunque non consentono una completa mobilità dei capitali finanziari. 

Con la caduta del sistema del dollaro ancorato all’oro (gold exchange standard) nel 1971, si avvia una fase di accelerazione della globalizzazione e soprattutto del movimento dei capitali finanziari anche per effetto dei cambiamenti ideologici.
La visione dell’autore è che questa  eccessiva libertà di movimento dei capitali ha portato ad una grave instabilità e a gravi crisi in molti paesi. Infatti, tra i paesi  emergenti, solo quelli che sono riusciti a contenere, con un forte  intervento dello Stato, queste dinamiche sono riusciti a graduare il passaggio e ne hanno tratto  un maggior beneficio (ad es. Corea e la stessa Cina).
Alla luce della storia passata, per Rodrik, si pone quindi un "trilemma", ovvero se si vuole una maggiore globalizzazione si deve rinunciare o allo Stato o alla democrazia, perché tutte e tre le alternative   non sono perseguibili e compatibili:
"non appare possibile perseguite simultaneamente la democrazia, assumere decisioni a livello nazionale e realizzare la globalizzazione economica".
Il punto di vista dell’autore è che, se si vuole salvare la democrazia, o si passa ad un sistema di governance globale o si mantiene un certo grado di indipendenza degli Stati nazionali dalle regole imposte dalla globalizzazione. Il sistema di governance globale, seppur invocato da molti autori, per Rodrik è in tempi brevi irrealizzabile (una chimera), anche per le diversità oggettive di natura economica ma anche culturale delle situazioni nelle varie nazioni.  Pertanto, nella parte finale del libro, da alcune indicazioni di massima  sulla strada da percorrere che, in sintesi, sono  rappresentate da uno strato minimale di regole comuni ma da una certa autonomia e indipendenza degli Stati nazionali, in modo da poter perseguire obiettivi che salvaguardino il benessere della  maggioranza dei cittadini:
"Le democrazie hanno il diritto di proteggere i loro patti sociali, e quando tale diritto entra in conflitto con le esigenze dell'economia globale, è quest'ultima che deve cedere il passo.".

Infatti, un ulteriore aumento della globalizzazione,  oltre a portare indubbiamente  qualche piccolo  vantaggio, spesso per pochi, genera per molti delle gravi difficoltà e per questo giustamente è molto mal vista e osteggiata.
In conclusione un libro che contiene moltissimi spunti di riflessione, molto più di quanto consenta questa sintesi, e che non dovreste mancare di leggere.


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