venerdì 30 maggio 2014

Post elezioni

“L' oligarchia è invece un sistema dove il potere è fortemente centralizzato e i corpi intermedi sono stati dissolti o indeboliti nelle loro autonomie. Al vertice i poteri costituzionali, anziché distinti e bilanciati, si sono fittamente intrecciati tra loro. Chi li gestisce fa parte dell' oligarchia; ciascuno degli oligarchi ha una sua area esclusiva di potere, che gli altri sono impegnati a garantirgli in perpetuo, a condizione naturalmente di godere del diritto di reciprocità. Il sistema si rinnova per cooptazione dall'alto e non per mutamenti dal basso. Ciò non significa, necessariamente, che il popolo non possa votare, ma che i meccanismi elettorali sono costruiti in modo da confermare invariabilmente l' oligarchia”.
Questo passo, di Alexis de Tocqueville,  mi sembra molto attuale e che rappresenti bene l’Italia degli ultimi decenni, dove vari poteri costituzionali, economici e sociali si sono arroccati ognuno sulle proprie posizioni. Mi riferisco sia ai partiti politici, ma anche ai sindacati, alla magistratura e al mondo imprenditoriale ecc… Purtroppo il ricambio non c’è stato o solo in minima parte o apparente, e questo ha generato un immobilismo di fondo che ha cristallizzato sia le istituzioni sia  le situazioni di forza e di potere, con varie degenerazioni. Il successo, alle ultime politiche, di Grillo  è quindi dovuto soprattutto a questo, rappresenta l’ unica forza che è di profondo cambiamento e  distaccata  dalle varie élite dominanti. Questo lo ha capito anche Renzi, cavalcando da un lato la volontà di cambiamento  e, dall’altra, la delusione di alcuni verso una certa inconcludenza del movimento cinque stelle in parte e, soprattutto, la paura, da parte dell’elettorato moderato, verso soluzioni estremistiche e anche velleitarie. Riuscirà Renzi in questa impresa? Da una parte il mandato che ha ricevuto è forte, mai nessuno ha avuto in tempi recenti una successo elettorale di queste dimensioni, dall’altra il compito è arduo e a questo proposito faccio un'altra citazione, questa volta di Macchiavelli:


 “Deve essere ricordato che nulla è più difficile da pianificare, più dubbio a succedere o più pericoloso da gestire che la creazione di un nuovo sistema. Per colui che lo propone ciò produce l’inimicizia di coloro i quali hanno profitto a preservare l’antico e soltanto tiepidi sostenitori in coloro che sarebbero avvantaggiati dal nuovo".

mercoledì 28 maggio 2014

Stephen D. King - Quando i soldi finiscono

Oggi recensiamo un libro da poco in libreria: Quando i soldi finiscono- La fine dell’età dell’abbondanza. Stephen D.King- Fazi editore.

Il libro, appena uscito, è scritto da Stephen D. King, laureato in economia e in filosofia ad Oxford, che lavora, come responsabile di ricerca economica, preso la banca HSBC.
Il titolo, molto accattivante, si riferisce alla crisi economica dei paesi occidentali che sembrano aver perso la strada per ritornare a crescere. L’autore analizza, quindi, le cause della crisi recente, ma con molti richiami alla storia passata: la crisi del ‘29, le difficoltà dell’Argentina  soggetta a crisi periodiche, la crisi ormai pluridecennale del Giappone, le difficoltà dell’eurozona e, ovviamente, la crisi americana scatenata dalle follie finanziarie della bolla immobiliare e dei subprime. Comunque  i richiami storici non si fermano al passato vicino o prossimo, ma  arrivano sino al medioevo. 
Da questi confronti e richiami storici, l’autore cerca di trarre qualche insegnamento. Le accuse si rivolgono al   sistema bancario per i suoi eccessi, ma anche i governi e alle loro politiche, che hanno assecondato la nascita della crisi con il loro, non sempre azzeccato,  interventismo che, ad esempio, ha permesso un uso sconsiderato dei flussi di denaro in eccesso. Se la prende, comunque, non solo con i debitori ma anche con i creditori, i paesi in surplus commerciale: Cina e Germania che hanno con il loro avanzo della bilancia commerciale alimentato questi flussi di denaro ma, anche, con i risparmiatori che alimentano, inconsapevolmente, gli enormi flussi di denaro con i fondi pensione che cercano rendimenti elevati.
In conclusione dall’analisi dell’autore non si salva, giustamente, nessuno, compresi gli economisti, troppo presi dalle loro teorie sofisticate che tendono a dimenticare gli insegnamenti della storia e della realtà. Il dramma, o incubo, come lo definisce, è che si è persa la fiducia, che è un elemento fondamentale di un sistema economico moderno, nelle banche e nei politici e tra creditori e debitori, con il rischio di pesanti ripercussioni sociali e ritorno a pericolosi nazionalismi, come ci ha insegnato la storia del ‘900.  In sintesi possiamo dire che King paragona  i paesi occidentali ai ricchi aristocratici inglesi dell’800 che, pur di mantener uno stile di vita che non si potevano permettere, dilapidavano il patrimonio accumulato.
Nell’ultimo capitolo delinea una serie di proposte, ed è questa la parte debole del libro, che mi sembrano un poco troppo teoriche e difficilmente applicabili. Trovo comunque giuste e sostanzialmente condivisibili le sue analisi e, soprattutto,  le sua esortazioni ai risparmiatori ad essere più consapevoli dei rischi e conseguenze dei loro investimenti e,  agli economisti, di tornare a studiare di più la storia economica.

In conclusione, comunque, un libro piacevole e interessante da leggere, scritto in maniera semplice e direi, quasi avvincente, per  chi è interessato alla realtà  economica.

lunedì 26 maggio 2014

Articolo Calvino: apologo sull'onestà nel paese dei corrotti

Oggi citiamo Calvino, un bellissimo racconto da non dimenticare.

C’era un paese che si reggeva sull’illecito.

Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere.

Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perchè quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente, cioè chiedendoli a chi li aveva in cambio di favori illeciti.

Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori, in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo di una sua autonomia.

Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perchè per la propria morale interna, ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito, anzi benemerito, in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l’illegalità formale, quindi, non escludeva una superiore legalità sostanziale.

Vero è che in ogni transazione illecita a favore di entità collettive è usanza che una quota parte resti in mano di singoli individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e mediazione: quindi l’illecito che, per la morale interna del gruppo era lecito, portava con sé una frangia di illecito anche per quella morale.

Ma a guardar bene, il privato che si trovava ad intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro di aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva, senza ipocrisia, convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita.

Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale, alimentato dalle imposte su ogni attività lecita e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o illecitamente riuscivano a farsi finanziare.

Poiché in quel paese nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta, ma neppure a rimetterci di suo (e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse), la finanza pubblica serviva ad integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attività che sempre in nome del bene comune si erano distinte per via illecita.

La riscossione delle tasse, che in altre epoche e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza di atto di forza (così come in certe località all’esazione da parte dello Stato si aggiungeva quella di organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori, pur provando anziché il sollievo del dovere compiuto, la sensazione sgradevole di una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta.

Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva di applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino ad allora le loro ragioni per considerarsi impunibili.
In quei casi il sentimento dominante, anziché di soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse di un regolamento di conti di un centro di potere contro un altro centro di potere.
Così che era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle guerre tra interessi illeciti oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e di interessi illeciti come tutti gli altri.
Naturalmente, una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale, che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche si inserivano come un elemento di imprevedibilità nella giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita.
In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che usavano quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge e con un ben dosato stillicidio d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini illustri e oscuri si proponevano come l’unica alternativa globale del sistema.
Ma il loro effetto sul sistema era quello di rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile e ne confermavano la convinzione di essere il migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla.
Così tutte le forme di illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci, si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto.
Avrebbero potuto, dunque, dirsi unanimemente felici gli abitanti di quel paese se non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti.
Erano, costoro, onesti, non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici, né sociali, né religiosi, che non avevano più corso); erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso, insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno al lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione di altra persone.
In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto, gli onesti erano i soli a farsi sempre gli scrupoli, a chiedersi ogni momento che cosa avrebbero dovuto fare.
Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che riscuotono troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in mala fede.
Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sè (o almeno quel potere che interessava agli altri), non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perchè sapevano che il peggio è sempre più probabile.
Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che, così come in margine a tutte le società durate millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, tagliaborse, ladruncoli e gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare “la” società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante ed affermare il proprio modo di esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé (almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera, allegra e vitale, così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa di essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è.

di Italo Calvino
E’ stato ripubblicato in “Romanzi e racconti” (Meridiani Mondadori, 1994, vol. 3, pp. 290-293) come “La coscienza a posto (Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti)”.

sabato 24 maggio 2014

Elezioni europee

Domani si vota per le elezioni europee, per la prima volta, da quando ho il diritto di voto, sono molto tentato di non andare a votare. 
Intanto ricordo che sono appunto elezioni europee, tali sono, anche se in Italia assumono valenza politica anche le elezioni del più sperduto comune. 
Sino ad oggi, il ruolo del Parlamento europeo è stato marginale, le vere decisioni sono state prese da organi non elettivi, come ad esempio la famosa Troika, (BCE, FMI, Commissione europea). È vero che adesso si ha la possibilità di eleggere il Presidente della commissione, ma è anche così ben poca cosa. 
Analizzando i programmi (vedi, ad esempio, http://www.polisblog.it) non mi danno grande soddisfazione, del PPE non parlo, su Berlusconi meglio sorvolare, sulla Merkel, per quanto possa aver ben governato il suo paese, in termini di politica Europea è una nana, niente a che vedere con Adeneur o Khol, basti ricordare il disastro che ha combinato con la Grecia. Il programma del PSE non mi convince, Schulz non credo rivoluzionerà la stupida politica europea dell’ultimo periodo, che invece avrebbe bisogno di un cambio di rotta. Per quanto riguarda Grillo e il M5S, la sua politica europea mi sembra ondivaga, non si capisce la posizione sull’euro anche perché l’idea del referendum, oltre che non perseguibile in pratica, è anche sbagliata in teoria, come affermano molti economisti. La Lega invece mi pare netta nella sua scelta, dietro gli interventi di Salvini, traspaiono le idee del suo economista candidato, Claudio Borghi, quindi quello che dice è tecnicamente corretto, cioè che l’euro fatto in questo modo sia stato un grave errore e che, in mancanza di serie alternative, sarebbe meglio uscirne, anche se sappiamo benissimo che non sarebbe indolore e, forse, non sappiano neanche cosa succederebbe esattamente, comunque queste considerazioni, anche se in parte condivisibili, non mi faranno votare per un partito pesantemente razzista e che è stato corresponsabile dei disastri dei governi di centrodestra. Più sfumata sull’euro la posizione di Fratelli d’Italia che rappresentano il meglio della destra italiana, ma che si uniranno comunque alla squadra della Le Pen e che quindi non mi appartiene come area politica. L’unico programma che potrei condividere è quello di Tsipras, purtroppo credo che nelle condizioni attuali rimarrà minoritario almeno in Italia e non potrà influire molto. La unica speranza, per assurdo, è che una forte affermazione degli anti-euro induca i politici europei a quel cambio di rotta che riporti al centro la politica con la P maiuscola, e si riprenda il cammino intrapreso dei padri fondatori, che da sogno si è trasformato in un incubo per la maggior parte dei cittadini europei.

giovedì 22 maggio 2014

A.Sen, L’idea di giustizia, Mondadori

Il libro che consigliamo oggi è: A.Sen, L’idea di giustizia, Mondadori.

Una prima premessa dovuta è che non è un libro facile, cioè di quelli da leggere sotto l’ombrellone,  per questo è difficile da sintetizzare. L’autore, Amartya Sen noto economista premio Nobel per l’economia, si cimenta su un tema filosofico: la giustizia.
Il punto di partenza sono le  idee di Rawls, di cui Sen è amico ed estimatore, del quale l’autore però critica l’approccio di tipo “istituzionale” e “contrattualistico”, derivante dall’approccio illuminista del “contratto sociale” e che si focalizza sulla ricerca di istituzioni sociali ideali. Approccio, di cui Sen, nella prima parte, evidenzia i limiti ritenendolo, in particolare, difficilmente e praticamente attuabile.
L’approccio di Sen, pur rimanendo nell’ambito dell’Illuminismo e della ragione, è un approccio più pragmatico con un ottica orientata piuttosto al miglioramento che al raggiungimento di situazioni ottimali ideali. 
In questo risulta interessante citare le due concezioni giustizia secondo la cultura  indiana che espone Sen: Niti è la giustizia in sé, mentre Nyaya è un giudizio pratico su una situazione concreta e quindi mai perfetta e sempre in rapporto ad un'altra, che è la prospettiva dell'autore.
La centralità, per Sen è nella vita concreta degli individui e nelle loro “opportunità effettive” e in un ideale di libertà “sostanziale”. Tale impostazione viene contrapposta non solo a quella fondata sulla centralità del reddito (o dei “beni primari” secondo l’accezione usata da Rawls), ma anche a quella imperniata sulla felicità/utilità dell’Utilitarismo. Concludo con  questa citazione dal libro  sulla filosofia:
La filosofia, però, può anche contribuire a dare maggiore e rilevanza alle riflessioni sui valori e sulle priorità, nonché a quelle sulle privazioni, le angherie e le umiliazioni cui in tutto il mondo gli esseri umani sono soggetti;
Ben consapevole della difficoltà nell’esporre il complesso contenuto del libro, mi auguro che sia di stimolo per spingervi alla sua lettura.

martedì 20 maggio 2014

George Akerlof, Robert Shiller - Spiriti animali. Come la natura umana può salvare l'economia.

La definizione di “spiriti animali” (animal spirits) che compare nel titolo del libro la si deve a J.M.Keynes che voleva in questo modo evidenziare, in contrasto con le teorie economiche razionalistiche dominanti,  come nella analisi economica debbano essere tenuti  in conto  gli aspetti irrazionali del comportamento umano.
Prendendo spunto da questa intuizione gli autori, di cui Shiller è stato insignito del premio Nobel per l’economia nel 2013,  nella prima parte del libro declinano quali siano gli aspetti “non razionali” che hanno effetto sulla economia: la fiducia, l’equità, la corruzione e malafede, l’illusione monetaria, le narrazioni.
Nella seconda parte del libro cercano di rispondere, utilizzando lo schema logico delineato nella prima parte, ad una serie di domande fondamentali sulla economia, in particolare sulla cause di instabilità e le conseguenti relative recessioni e disoccupazione.
Le conclusioni degli autori sono che: solo tenendo conto anche degli aspetti irrazionali, adeguate politiche governative possono cercare di indirizzare e imbrigliare  le forze potenti dell’emotività umana affinché l’economia possa raggiungere il suo scopo: stabilità e benessere per tutti.

martedì 13 maggio 2014

Daniel Kahneman - Pensieri lenti e veloci

Il libro che segnaliamo oggi è: Pensieri lenti e veloci di Daniel Kahneman-Mondadori 2012.
L’economia è una campo di studio molto vasto, ne è una dimostrazione che il premio Nobel nel 2002 è stato assegnato all’autore del libro, che è uno psicologo israeliano, per i suoi studi sulla teoria delle decisioni in condizioni di incertezza. Il libro analizza le modalità con cui vengono prese le decisioni, delineando, in particolare, che esistono fondamentalmente due meccanismi o sistemi di decisione. Il primo, quello più rapido e intuitivo, ci consente di affrontare le situazioni che richiedono una risposta immediata, ad esempio quando guidiamo la macchina ed è quello più innato  e  usato fin dall’alba dei tempi. Il secondo, quello più razionale, è più  lento ma anche per cosi dire “pigro”,  dovrebbe entrare in funzione quando la situazione decisionale richiede una maggiore riflessione. Nella realtà, e il libro elenca una serie di situazioni e condizioni in cui questo accade, spesso il sistema  intuitivo entra in azione, nostro malgrado, anche nelle situazioni dove sarebbe richiesta una ponderazione più razionale, e, quindi, le nostre decisioni sono soggette a pregiudizi ed errori (bias), a volte  clamorosi,  anche da parte di quelli che sono più  esperti e preparati. L’autore traccia, nel corso del libro, una mappa completa della struttura e delle modalità di funzionamento del pensiero, fornendoci nel contempo preziosi suggerimenti per contrastare i meccanismi mentali «veloci», che ci portano a sbagliare, e sollecitare quelli più «lenti», che ci aiutano a ragionare. 
Gli studi dell’autore, hanno dato un grosso contributo alla cosiddetta “behavioral economics” (economia comportamentale), che smonta dalle fondamenta l’approccio basato sugli agenti razionali che sta alla base dell’economia. A lungo in vetta alle classifiche americane, il libro che ho apprezzato molto  per il numero di argomenti che tocca ed, inoltre, perché  scritto in maniera impeccabile e comprensibile a chiunque e mai superficiale. Per questo ritengo che valga, quindi, decisamente la pena di esser letto. 

mercoledì 7 maggio 2014

Luciano Gallino - Il colpo di stato delle banche e dei governi

La recensione di oggi è su : Il colpo di Stato di banche e governi. L'attacco alla democrazia in Europa, Einaudi, Torino, 2013.
Luciano Gallino, professore di Sociologia a Torino, iniziò a lavorare nella mitica Olivetti di Adriano, è autore di numerosi libri in cui mette in evidenza i difetti dell’attuale sistema economico e, dal titolo di questo libro, si percepisce  il suo spirito fortemente  critico. Nella prima parte analizza in maniera dettagliata le cause della recente crisi, mettendo in luce  che, seppur originata negli Stati Uniti, e  dovuta al mercato finanziario che ha creato un gigantesco volume di denaro per motivi speculativi con margini di rischio altissimi e senza alcun collegamento con l’economia reale,  anche il sistema bancario europeo ha delle colpe rilevanti.  Per evitare il peggio, tutti i governi europei hanno dovuto metter mano al portafoglio per evitare il tracollo del sistema finanziario e la bancarotta di istituti troppo grandi per fallire. L’aspetto però, più rilevante e grave,  è che sia stato  propagandato  il concetto che il problema sia il debito pubblico, aumentato soprattutto per salvare le banche, e che questo deve significare una forte riduzione del welfare. In pratica i cittadini, dopo essere stati costretti a contribuire per pagare gli errori del sistema finanziario, adesso sono ulteriore penalizzati per una riduzione dei servizi pubblici e  sociali: una vera beffa.
In conclusione, l’autore, analizza  le varie proposte che sono state presentate per riformare il sistema finanziario ed evitare in futuro il ripetersi di ulteriori gravi crisi, evidenziando che tali proposte siano, in larga parte,  troppo blande anche perché i relatori provengono in buona parte dallo stesso sistema finanziario. Purtroppo, aggiungo io,  come si vede, siamo ancora nel mezzo della crisi e le ricette di austerità e di riforma del sistema finanziario non sono assolutamente risolutive ed adeguate e, inoltre, fino a che le decisioni fondamentali in materia economica rimarranno  in mano ad organismi non elettivi (la famosa Troika ovvero BCE, FMI e Commissione Europea) non vedo possibilità di un cambiamento di rotta  che possa andare incontro alle reali esigenze dei cittadini

lunedì 5 maggio 2014

Jean Paul Fitoussi - Il teorema del lampione - Einaudi

Il libro che consigliamo oggi è: Jean-Paul Fitoussi - Il teorema del lampione (o come mettere fine alla sofferenza sociale) -Einaudi.
Il titolo del libro dell’economista francese prende spunto da una vecchia storiella, dove si racconta di un ubriaco che gira attorno al lampione e, alla domanda di chi gli chiede cosa stia cercando l’uomo risponde: “Le chiavi di casa!”, ma alla domanda successiva, “E’ sicuro di averle perse proprio qui?”, “No”, afferma sicuro l’ubriaco, “le cerco qui perché c’è più luce”. Tale storia è, per l’autore, la metafora della situazione attuale e in particolare della teoria economica. Infatti, afferma nel libro: «Da tempo mi interrogo sulle ragioni che spingono molti economisti, compresi alcuni tra i migliori, a investire la loro intelligenza nella costruzione di teorie la cui complessità è seconda soltanto all'inutilità».
Ovvero, come l’ubriaco, stiamo cercando le risposte nella direzione sbagliata. In particolare critica le teorie liberiste che hanno preso il sopravvento negli ultimi decenni e che continuano a imperversare, nonostante la realtà ne abbia delineato chiaramente i limiti. Infatti, tale teorie, che hanno propagandato la cieca fiducia nella efficienza dei mercati, ci hanno consegnato la peggiore recessione dagli anni 30 grazie alla speculazione finanziaria incontrollata.
La cosa peggiore è la miopia che affligge ancora l’Europa, in cui prevale ancora la linea di austerità che, in una situazione di crisi, non fa altro che peggiorare le cose aumentando la disoccupazione e il disagio sociale. Inoltre, sono proprio le teorie liberiste che hanno provocato il ridimensionamento del ruolo della classe media, comportando un ulteriore aumento delle diseguaglianze, e che hanno incanalato un immensa mole di denaro verso un utilizzo sbagliato.
Si continua, afferma l'autore, a seguire ricette sbagliate perseguendo obiettivi erronei, l’inflazione, e facendo uso anche di strumenti non idonei, come il PIL, a rappresentare la complessità del vero benessere. L’autore infatti afferma:
«Se gli obiettivi che la politica economica porta sotto i riflettori non sono davvero importanti per la società, non avremo alcuna possibilità di comprendere perché il fatto di averli raggiunti non risolva in alcun modo il problema iniziale».
Dopo aver esaminato gli errori delle attuali teorie e indicato alcune soluzioni, la conclusione di Fitoussi è: «Possiamo scegliere cosa vogliamo illuminare, siamo noi che decidiamo il posizionamento dei lampioni», ed inoltre, «È giunto il momento di valutare le conseguenze delle politiche che i nostri governi portano avanti riguardo a questi due obiettivi maggiori: il benessere e la sostenibilità».
In conclusione un libro molto interessante, scritto in maniera comprensibile, per chi vuol cercare di capire la realtà in cui viviamo andando oltre i paraocchi del pensiero dominante.

domenica 4 maggio 2014

Joseph Stiglitz - Il prezzo della disegueguaglianza- Einaudi

Iniziamo con le recensioni di libri consigliati, perchè essere informati è il primo passo verso una maggiore consapevolezza.
Joseph Stiglitz è un economista, premio Nobel nel 2001, che ha scritto molti libri, l’ultimo uscito di cui parliamo  oggi è: 
Il prezzo della diseguaglianza - Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro-Einaudi
E’ chiaro dal titolo che il tema è la diseguaglianza, i dati dimostrano, infatti,  come negli ultimi 30 anni in quasi tutti i paesi occidentali la diseguaglianza economica sia aumentata. Quello che  Stiglitz mette in evidenza è che, da un lato, gli Stati Uniti  sono, in contrasto con il mito delle sogno americano, un paese dove le opportunità di migliorare il proprio status sociale siano piuttosto basse e minori di alcuni paesi europei (non certo l’Italia). Inoltre, l’1% della popolazione, che detiene una larga parte della ricchezza,  lo deve in minima parte all’effettive capacità  o contributo che fornisce alla società bensì sfruttando posizioni di rendita. Tale meccanismo altera anche le istituzioni  democratiche,  in quanto chi detiene la ricchezza ha anche la possibilità di condizionare pesantemente le scelte politiche, determinando una sempre minor partecipazione al voto e di fatto trasformando il sistema da «una testa un voto»  a «un dollaro un voto». Tale sistema ha fatto si che le scelte politiche si siano orientate a favorire, ad esempio, la deregolamentazione bancaria e finanziaria, con  il conseguente crack del sistema che ha generato la crisi. Il sistema, poi, è cosi perverso che le stesse istituzioni finanziarie  hanno avuto dal governo  enormi aiuti economici  a spese dei contribuenti, magari continuandosi a elargire bonus del tutto immotivati. 
Alla fine del libro le conclusioni di  Stiglitz sono chiare: un sistema di regolamentazione delle istituzioni  finanziare e dei mercati che eviti le degenerazioni scaturite dai palesi conflitti di interesse e mancanza di controlli, e che assicuri una effettiva competitività dei mercati limitando le rendite da  posizione dominante; 
una  politica fiscale più progressiva, contrariamente alle tendenze dell’ultimo periodo che ha visto i ricchi  pagare sempre di meno;
un ruolo determinate dello Stato nell’ evitare le distorsioni del mercato e assicurare  un welfare  decente e soprattutto  una maggiore uguaglianza delle opportunità.

venerdì 2 maggio 2014

Parliamo di Democrazia

Questo è un blog che tratterrà di temi politici, economici e sociali, per iniziare parliamo proprio di democrazia, partiamo da alcune definizioni o citazioni. La prima è letteraria, di Ignazio Silone dal suo libro Vino e Pane
L’uomo che pensa con la propria testa e conserva il suo animo incorrotto è libero. 
L’uomo che lotta per ciò che egli ritiene giusto, è libero. Per contro, si può vivere nel paese più democratico della terra, ma se si è interiormente pigri, ottusi, servili, non si è liberi; malgrado l’assenza di ogni coercizione violenta, si è schiavi. 
La seconda citazione è filosofica di Karl Popper dalla Società aperta e i suoi nemici :
 Per democrazia non intendo qualcosa di vago come il governo del popolo o il governo della maggioranza ma un insieme di istituzioni che permettano il controllo pubblico dei governanti da parte dei governati
Infine una definizione, come dire operativa, da parte di un economista, ovvero A. Schumpeter, dal suo libro Capitalismo, socialismo e democrazia, in merito alle condizioni per un funzionamento ottimale della democrazia:
 •   il personale che sale a funzioni di governo deve essere di qualità sufficientemente elevata;
•      Il raggio della decisione politica non sia eccessivamente  esteso; 
•    una burocrazia esperta, dotata di prestigio, di una buona tradizione, di un forte senso del dovere; 
• autocontrollo democratico.
Ognuno di voi può fare le sue riflessioni su queste citazioni o magari ne ha altre diverse, le mie sono che la democrazia richiede comunque uno spirito critico e libero da parte dei governati, inoltre servono delle buone istituzioni per farla funzionare ma, se manca appunto il controllo da parte dei governati, anche le migliori istituzioni non reggono; per questo non ha senso, a mio parere, dire "esportare la democrazia", comunque le istituzioni vanno costantemente migliorate ed aggiornate ma questo sarà un tema dei prossimi post.